Kubrik’s StrangeLove
 
Il dottor Stranamore, ovvero : come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba - Stanley Kubrik ( 1964 )
 
Strano l’amore che ci lega ai film alle canzoni ai libri, spesso è una scena, un ritornello, una pagina, un solo momento che diventa icona e ci trasporta nella totale esperienza vissuta, trasformare questo momento in fotografia istantanea è stato un gesto intimo, scegliere la scena, isolare il fotogramma e scattare, un omaggio statico alla fluidità, un volere riproporre con la tecnica del ready made la percezione del movimento della narrazione attraverso le immagini fissate su pellicola istantanea, strano l’amore ...
 
Composizione ready made a 15 scatti Impossible PX100 realizzata per la collettiva ;

SILVER SCREEN

 


PaggeriArte, piazzale della Rosa, Sassuolo.

 

Periodo apertura novembre 2012.

 

Inaugurazione 10 novembre ore 18.

 

I Magazzini Criminali presenteranno in collaborazione con l’Ozu Film Festival la mostra Silver Screen con testo critico di Chiara Messori. Una sessantina di artisti provenienti da tutta Italia hanno aderito alla manifestazione con opere inerenti al cinema. Attori, registi, scene di film sono rappresentati in diverse discipline, pittura, scultura, fotografia, grafica e installazioni. La Mostra cerca di privilegiare quelle opere che già visivamente, o solo con la lettura del titolo, portassero il visitatore un rimando diretto al mondo del cinema magari di Luchino Visconti, Monica Vitti, Marlene Dietrich, Charlie Chaplin, James Dean, passando anche alle scene di film di Luis Bunuel, di King Kong o Stuart

SILVER SCREEN

“Oh lucky, lucky me,

I shall live in luxury

For I’ve got a pocketful of dreams”.

[Oh, sono proprio fortunato.Vivrò nel lusso perchè ho una tasca piena di sogni]

Louis Armstrong

Ho scelto questa strofa del grande Louis Armstrong perchè credo renda bene il pensiero che ho sempre avuto sul cinema e sul mondo che gravita attorno a questa che potremmo considerare come la “settima arte”. Vorrei proprio partire dal “Pocket Full of dreams” ,tasca piena di sogni che permette a chi la possiede di essere fortunato, stare bene, vivere nel lusso, sì il lusso di potersi permettere di avere dei sogni, di realizzarli, anche per un breve attimo, giusto il tempo di una visione ...Ed è per l’appunto dalle visioni, reali ed inventate, mentali e vissute, che gli artisti partono per restituirci i loro frammenti di realtà...Possono farlo con le opere d’arte, con quelle letterarie ed anche con cinema... perchè, come ci dimostra l’opera di R. Griffi “Il cinema è un po’ come sognare”...E l’uomo ha sempre sognato ed ha “proiettato” le sue immagini, le ha disegnate sulle pareti delle caverne come ci ricorda l’opera di C. Tamburini "Ombre" che ci rimanda alle origini del cinema come proiezione, sorta di prima camera oscura celebrata anche dal lavoro di V. Ambi “Camera Oscura; Elogio alla luce” con la quale l’artista è interessata ad osservare e a studiare la luce con un approccio contemplativo e poetico: il miracolo della luce e la bellezza dei suoi fenomeni. Diamo per scontato che essa illumini ciò che ci circonda e ci permetta di vedere, o che uno specchio rifletta l’intorno attraverso la sua presenza: tutto è luce. Questo elemento così impalpabile (con tutte le sue gradazioni d’intensità) “fa la Differenza”nel farci percepire lo spazio. E la differenza nella percezione dei suoni stavolta la fece T. Edison quando, alla fine del 1800, presentò il suo kinetoscopio, inventato per intrattenere le persone che ascoltavano la musica del suo fonografo. Esso era una sorta di grande cassa alla cui sommità si trovava un  oculare; lo spettatore, poggiando l'occhio su di esso e girando la manovella, poteva guardare il film  montato nella macchina su rocchetti (il termine inglese film indicava la pellicola, cioè il supporto. La pellicola da 35 mm viaggiava ad una velocità di 48 immagini per secondo ,la pellicola della Eastman Kodak.I primi film per il kinetoscopio erano i bisnonni dei nostri cortometraggi, infatti duravano alcuni secondi e mostravano un'inquadratura fissa con uno o più soggetti in movimento. Questo nuovo modo di “vedere” era però riservato ad una fruizione singola, solitaria, bisognerà aspettare i fratelli Lumiere perché il cinema divenga “fatto collettivo”. Per i Lumière questo nuovo strumento diviene un modo per fare spettacolo ed un investimento commerciale più che un esperimento ottico; essi intuirono che l’interesse del pubblico era rivolto soprattutto verso ciò che veniva proiettato e nel suo variare, il loro intento era catturare “lo straordinario nell’ordinario” e per far ciò mettevano in scena frammenti di vita quotidiana. Come ci ricorda l’artista M. C. Pruna con la sua “Ricetta del cinema”:Per questa ricetta dobbiamo ringraziare i fratelli Lumière che il 28 dicembre 1895 l’hanno cucinata per la prima volta a Parigi ed oggi, pur con le dovute modifiche, mantiene tutta la sua magia e ogni volta ci rapisce e ci incanta. Dopo di loro la storia del cinema si amplierà, abbraccerà altri modi narrativi, inventerà altri generi ma spesso tornerà sulla loro strada perché il tentativo vero di molti registi, come disse Cesare Zavattini, non è quello d’inventare una storia che somigli alla realtà, ma di raccontare la realtà come se fosse una storia. Perchè, come ci dimostrerà con la sua installazione A. Leonardi “Reality is Fiction”. E di storie non ne raccontano solo i registi…pittura, fotografia e cinema restano profondamente imparentate perché arti della rappresentazione e, in quanto tali, pur avendo vicende storiche diverse, arrivano in molti modi a contaminarsi…Lo sapeva bene il regista Yasushiro Ozu che aveva uno sguardo pregno di arte e di sogni, attraverso di esso è riuscito a darci capolavori cinematografici memorabili proprio perché legati ad una trama minimale, solo sfiorata dai grandi eventi ed improntata al suo carattere schivo. La carriera del regista si può dividere in due parti, lacerata da quello spartiacque epocale che fu anche per lui la Seconda guerra mondiale. Sono proprio i primi film quelli in cui compare l'impronta di Hollywood. I film della maturità sono improntati invece ad uno stile "contemplativo", che quasi ignora le regole cinematografiche ed è impregnato di simbolismi minimali e di sfumature psicologiche. Un perfezionista, per alcuni un eccentrico; non usò il sonoro fino al 1935 e similmente il suo primo film a colori risale solo al 1958. Ma forse questa sua scelta fu anche dettata dal fatto che l’immagine muta era un linguaggio comprensibile a tutti grazie alla cultura medio/bassa dei personaggi.Come, nel Medioevo gli artisti si servivano delle narrazioni ad immagini sulle pareti delle cattedrali per riuscire a catechizzare le masse, il cinema è per Ozu come una “nuova religione”. E’ stato un grande ammiratore del cinema occidentale ,innamorato del cinema di Ernst Lubitsch, e al tempo stesso colui che ha tramandato in maniera più rispettosa di chiunque altro le tradizioni e la cultura familiare del Giappone. Disse il regista Wim Wenders ,che gli ha dedicato il film Tokyo-Ga, quando gli chiesero cosa fosse per lui il paradiso: "La cosa più simile al paradiso che abbia mai incontrato è il cinema di Ozu". E come Wenders,sono molti gi artisti che in questa sede hanno deciso di omaggiare il cinema, alcuni proprio prendendo come spunto l’opera del maestro Ozu – L. Catellani, C. Bascelli che ci offre una versione pittorica di un famoso fotogramma tratto dal film di Ozu "Tokyo Story"- altri rendendo omaggio ai divi americani più famosi come M.L. Reggiani, A. Falleti, S.Sala - del resto i magnati di Hollywood non avevano torto quando presumevano che i film offrissero immediatamente all’immigrante un modo per soddisfare se stesso. Questa strategia corrispondeva perfettamente alla forma cinematografica che permise negli anni venti d’inscatolare “l’american way of life” e di esportarla in tutto il mondo. E il mondo s’affrettò a mettersi in coda per comprare sogni in scatola. Il cinema non soltanto accompagnò la prima grande epoca dei beni di consumo, ma fu un incentivo, un mezzo di propaganda e, già in se stesso, un prodotto d’importanza primaria. Quindi il titolo della mostra silver screen si riallaccia perfettamente al concetto di cinema come prodotto ed diviene quindi metonimia dell’industria cinematografica. E di cinema come industria d’immagini ci parla nella sua opera I. Ravazzini in cui vengono celebrati i personaggi cinematografici più famosi. Quello dello star sistem è un mondo in cui si è chiamati ad assurgere a nuovi idoli; quello di cui ci si dimentica è che i cosidetti “divi”sono persone normali, spesso modelli negativi. Il sistema del divismo, oggi vera e priopria religione, è messo in discussione dal “RED CARPET" di A. Farina che vuol criticare il cinema non in quanto modello negativo ma come dice l’artista “è negativo il riscontro che esso ha sul nostro sistema di valori.Un sistema impostato sull’ idolatria di altri esseri umani,dove il concetto di divino che un tempo era avvicinabile solo dalla santità e a valori indiscutibilmente etici e puri, oggi si incentra su un sistema in celluloide basato su apparenza ed estetica, dove l’unico scopo sta nell’ emergere e nel mostrarsi a qualunque costo”. Posizione ironicamente critica verso il divismo imperante è anche quella di F. Azzali che nel suo “Expresso Rubik”. L’artista ci mostra un set molto bizzarro...dove tutti mettono il naso. Tutti vogliono...se arriva, un momento di gloria. L'unico inconsapevole di ciò è il protagonista: la tartaruga Rubik. Emergono poi come "Estremita' Frammenti di Memoria" le foto di scena di un corto di D. Salierno e sulle “Bobine” di D. Basile restano intrappolati i divi nostrani di E. Arletti ,omaggio a Federico Fellini, L. Bellei con una Monica Vitti incomunicabile, F. Zulian con Sophia Sophia!. uhh.. .madonna mia! e G. Borragini Roman Holiday. M. Santoni fa un lavoro interessante nell’opera Wanted; rappresenta alcune stelle di Hollywood ritratte nelle foto segnaletiche dopo l'arresto,alcune per manifestazioni politiche, guida in stato di ubriachezza. Sul filone che lega movimenti artistici e cinema si situano i lavori di R. Spettoli – Der Expressionistische film - tributo alla corrente artistica e cinematografica dell'espressionismo tedesco, Fritz Lang, Robert Wiene e Friedrich Murnau,che ha tentato di unire in un'unico scenario in stile delle locandine d'epoca per il cinema muto e M. Leccese , Morte di un occhio –,fa omaggio a Luis Buonuel e Salvador Dalì. La scena riprende un celebre cortometraggio fatto da entrambi dal titolo "Un Chien Andalou” è uno dei primi cortometraggi surrealisti degli anni '20.Il surrealismo conosceva bene il pensiero del filosofo Henry Bergson che nel 1911 fece colpo con l’evoluzione creatrice, dove associava i processi mentali con la forma cinematografica. Proprio nel momento dell’estrema meccanizzazione concretata nella fabbrica, nel cinema e nel giornale,gli uomini parvero trovare nel flusso di coscienza o cinema interiore, un nuovo accesso al mondo della spontaneità, dei sogni e delle esperienze personali irripetibili. E sicuramente parlando di spontaneità non può mancare il riferimento all’infanzia ed ai generi dedicati ai bambini... Come i cartoon ed i film d’animazione, celebrati nell’installazione di R. Zanoli ispirata dal personaggio Stuart Little - Un topolino in gamba ,film di Rob Minkoff del 1999 da cui è stata tratta una serie animataed dai personaggi del grande Walt Disney; L. Serri ricama il suo amato Bambi e S. Vacondio ce lo posiziona “sulla neve”, mentre A. Giordani usa la candida "Biancaneve" e la trasforma in una icona ricoprendola con un plexiglass arancio fluorescente che la fà risaltar ancor più ed inserendo la sagoma non proprio "tranquilla" di un curioso nanetto forse l'escluso?..Quindi ancora cinema come strumento di consumo con i suoi risvolti ludici ma anche inquietanti come ci dimostra anche il lavoro ispirato all’horror movie di Camme ed anche l’omaggio “deformato” di F. Valentini ad Hitchcock nel suo “3 psyco” e gli immancabili omaggi a Kubrik di A. Marcheselli con Kubrik’s strangelove e ad una delle sue pellicole migliori ovvero “Shining” celebrato nel lavoro di M. Benigna. A conclusione emerge da tutto ciò il legame, ancora oggi forte, con l’Ideologia frankesteiniana, basata sul mito della soppressione della morte e sull’illusione di poter utilizzare le tecnologie di riproduzione della realtà per sfuggire alla legge del tempo. Per usare le parole di McLuhan:”Attraverso il cinema arrotoliamo il mondo reale su una bobina per poi srotolarlo come un tappeto magico della fantasia” dove, come ci suggeriscono i nostri artisti, le Happy Ending (E. Puzziello) non sempre sono scontate e possono essere anche e sempre diverse perchè There's no one only end (R. Pettenati) ed in fondo ognuno di noi spera in futuro di poter essere, come diceva Andy Warhol” world-famous for 15 minutes” o meglio ancora, come ci suggerisce il nostro O. Baccilieri, accorciando i tempi, in soli 15 secondi!

Chiara Messori